Beyond The Words

Twenty-eight

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Ibba
CAT_IMG Posted on 5/3/2011, 17:33




È da tantissimo tempo che volevo iniziare a pubblicarla, ma mi sono sempre imposta di non farlo se non dopo la conclusione di "Sopravvivere". Ma non ce l'ho fatta, sono rimasta vittima della tentazione. Quindi ecco a voi una nuova storia che prende spunto da un sogno che feci l'anno scorso, ma che non vi anticipo per non rovinarvi la sorpresa :D Sappiate che ancora non è conclusa, e solo per questo fatto già dovrei iniziare a scusarmi per i colossali ritardi che accumulerò nei vari aggiornamenti. Spero vi piaccia, per ora avete solo un piccolo assaggio, praticamente non dice niente della storia che andrete a leggere, ma vabbé, è giusto per invogliarvi!
Detto questo, vi lascio alla lettura e a poche note finali :)



Twenty-eight



In The Middle Of The Night
(2005)

Uscì da quella casa maledicendo il motivo per cui c’era entrata. Non aveva proprio voglia di quella festa, eppure ce l’avevano portata. Ma la cosa più stupida era che lei c’era andata senza nemmeno opporre troppa resistenza. Solo all’inizio aveva iniziato a ritrarsi, ma non seppe come, ci si era ritrovata dentro. Tutti gli amici se n’erano andati – persino Chiara – e lei non aveva potuto fare altro che divertirsi ad assaggiare tutti i peggiori intrugli che i suoi compagni di università avevano creato a partire da delle semplici bottiglie di vodka, rum e chissà che altro. Certo, anche quelli da soli non erano proprio quel che a rigor di logica si sarebbe definito “salubre”, quindi immaginava già cosa sarebbero diventati quei pochi ingredienti mischiati tra loro. Però aveva iniziato a bere, e se lei iniziava a bere, difficilmente smetteva.
Solo quando rischiò di prendere a botte un ragazzo più giovane che cercava di palparle il sedere, si costrinse ad abbandonare quella casa con l’intenzione di tornare alla sua, ma già dopo qualche metro passato a barcollare ed ad appoggiarsi a qualche macchina per non cadere del tutto per terra, rifletté su quanto fosse stata idiota. Come poteva sperare di raggiungere casa in quelle condizioni? Era vero che era il centro storico e le macchine non potevano passarci come se fosse un’autostrada, ma c’era il rischio dietro ad ogni angolo vista l’ora tarda. Come minimo erano le cinque del mattino, e il giorno dopo aveva pure lezione alle nove.
Imprecò e si accostò al muro con una mano, seguendo il perimetro con il tatto per andare avanti, gli occhi aperti le facevano aumentare il mal di testa già assillante. Non doveva bere così tanto. Maledì la sua coinquilina per non esserle stata vicina e poi maledì se stessa per la sua indole a dare sempre la colpa agli altri.
No, in effetti c’era qualcuno a cui dare veramente la colpa, ma solo ricordare il suo nome la faceva imbestialire ancora di più, quindi preferì lasciare i suoi pensieri già contorti e sempre più astratti, prendere il sopravvento.
Camminò per metri senza sapere nemmeno dove si stesse dirigendo, quando finalmente, guardandosi con fatica attorno, riconobbe il luogo. Raggiunse il portone di vecchio legno che vedeva appannato sulla sua destra e tentò di raggiungere il campanello. Premette il bottone una volta, ma nessuno le rispose e lei, per la frustrazione, diede un calcio al muro davanti a sé con i suoi stivali marroni.
Si fece male, così male che si accucciò e si coprì il piede destro con le mani, facendo pressione come per far passare il dolore, ma fu inutile. Anche in quel caso non mancarono le maledizioni lanciate alla stessa persona innominabile che l’aveva portata a ridursi così, ovviamente indirettamente, ma era comunque responsabile e lei mai e poi mai avrebbe permesso che sfuggisse alle conseguenze che lei doveva subire per come era stata trattata.
Si rialzò con gli occhi lucidi per il piede che ancora sentiva pulsare e premette ancora il pulsante, questa volta più a lungo: almeno dieci secondi.
“Chi cazzo è a quest’ora?” rispose una voce ostile, leggermente appesantita e biascicata.
“Aprimi.” Disse lei senza nemmeno degnarsi di chiedere scusa per il disturbo.
“Nemmeno fossi l’ultima persona sulla Terra.” Decretò la voce, riappendendo il citofono e chiudendo la conversazione con un rumore secco.
Lei batté un piede per terra – ricordandosi solo in quel momento la pulsazione che non era ancora del tutto passata – e imprecò, premendo nuovamente il bottone del campanello.
Questa volta, non ottenne risposta da quell’oggetto, ma dal balcone sopra di lei che si aprì violentemente e da cui apparve un ragazzo con addosso solo i pantaloni di una tuta nera. La ragazza nemmeno si preoccupò di pensare al fatto che stesse dormendo.
“Aprimi, pezzo di imbecille!” urlò.
“E stai zitta, che dormono tutti qui!” berciò lui in risposta. “Poi danno la colpa a me e mi buttano fuori di casa.”
“Tanto sei al nero là dentro!” ribatté lei, indicandolo come per minacciarlo. A guardare verso l’alto, barcollò ed andò a sbattere contro la macchina che si trovava dietro, per poi cadere per terra.
“Merda…” mormorò il ragazzo esasperato. “Perché vieni a rompere i coglioni proprio a me? Cosa ti ho fatto?”
“Vuoi proprio che te lo ricordi?” ringhiò lei, restando seduta per terra a massaggiarsi la schiena che aveva battuto. Si mise poi a gambe incrociate e rialzò la testa verso di lui. Tanto, più in terra di così non poteva andare.
“Che palle.” Fece lui. “Aspetta che vengo.” Acconsentì. “E intanto tirati giù la gonna che ti si vedono le mutande. Non vorrei che un malintenzionato possa stuprarti mentre scendo le scale.” E tornò dentro, chiudendo le porte del terrazzo dietro di sé.
“Ah, ora ti preoccupi anche per me?” continuò a gridare lei. L’idea che lui potesse essere accusato di disturbatore della quiete pubblica non poteva che farle piacere. “Peccato che facendo così non sembri altro che un ipocrita! Stronzo!” continuò imperterrita, forse aiutata anche dall’alcool che poteva benissimo aver preso il posto del sangue nelle sue vene. “Sappi solo che se non vieni subito ad aprirmi, mi attacco al campanello a peso morto! Non ti farò più dormire! Te lo giuro!” si passò una mano tra i corti capelli rossicci e si tolse un piccolo ciuffo da davanti agli occhi.
“Ma stai zitta!” gli rispose lui, aprendo il vecchio portone con un fragoroso rumore meccanico. Pure quel fastidioso scricchiolio che ne seguì, sapeva di antico. “Possibile che tu non faccia altro che lamentarti? E poi si può sapere cosa ci fai a quest’ora sotto casa mia?” le si avvicinò e la prese per un braccio, costringendola ad alzarsi. Aveva addosso un giacchetto che si doveva essere messo per l’occorrenza.
“Mi so alzare da sola.” Si impuntò lei, facendo resistenza, gli occhi serrati.
“Ma non farmi ridere, non ti reggi nemmeno in piedi.” La riprese lui, facendola alzare con uno strattone. La ragazza cascò in avanti e sbatté contro di lui, che le afferrò le spalle con le braccia. L’allontanò da sé e le mise una mano intorno alla vita per sorreggerla, mentre lei cercava di spingerlo via. “Ma che cazzo fai?”
“Non ti voglio!” rispose lei con una smorfia di disgusto.
“E allora perché diavolo sei venuta sotto casa mia?” insistette lui, iniziando ad arrabbiarsi. La strinse ancora di più e le fece varcare la soglia del portone, per poi chiuderlo con la mano libera.
Lei iniziò a puntare i piedi per terra per non farsi trascinare e tolse bruscamente la mano del ragazzo dal suo fianco. Lui con un’alzata di spalle l’accontentò, e lei cadde all’indietro, sbattendo la schiena contro lo stretto muro bianco dell’ingresso di quel piccolo e vecchio palazzo. In nemmeno mezzo secondo, si ritrovò a terra. Di nuovo.
“Ma sei cretino?” urlò lei, cercando di alzarsi.
“Ti ho solo fatto un favore, quindi vedi di non rompere troppo.” E le voltò le spalle.
“Aspetta, dove vai?”
“A letto.” Rispose schietto senza voltarsi.
“Stronzo! E mi lasci così?” lo accusò. Non tentò nemmeno di rialzarsi, tanto sapeva che non ce l’avrebbe fatta. Aveva decisamente bevuto troppo. Era già tanto che avesse raggiunto quella casa.
“Ma sei scema?” si girò per guardarla superiore. Sembrava del tutto disinteressato a ciò che lei stava passando e questo non poteva altro che aumentare la sua frustrazione.
“Idiota! Aiutami!”
Lui la osservò con espressione dubbiosa per qualche istante, poi sospirò e si avvicinò a lei. La prese per un braccio e se lo passò intorno al collo, mentre con l’altra mano l’afferrò per la vita, facendola alzare.
“Lo faccio solo perché trovarsi un cadavere di prima mattina nell’ingresso, non sarebbe proprio il massimo.” Spiegò lui.
La ragazza sospirò. Perché alla fine finiva sempre così? Perché alla fine lui l’aiutava sempre? Lei, che faceva sempre di tutto per essere stronza nei suoi confronti, non otteneva altro che il contrario. Che lo facesse apposta? Non lo sapeva, eppure, sebbene odiasse essere aiutata da lui, questa volta non oppose resistenza e si lasciò accompagnare per le scale, fino a raggiungere la porta del suo appartamento. Con la mano che prima la sosteneva per la vita, prese il mazzo di chiavi che si era infilato in tasca del giacchetto ed aprì, per poi entrare con lei vicino.
Chiuse la porta con un piede e la condusse nella sua camera da letto.
“Stai qui.” Le disse, facendola sedere sul letto.
Lei lo guardò indugiando sull’espressione da adottare. Dapprima aveva provato ad aggrottare la fronte, ma in pochi secondi si ritrovò a non saper più controllare i muscoli facciali, e la sua espressione assunse un’aria ferita. Gli occhi divennero senza che lei volesse lucidi e supplicanti, mentre osservava il ragazzo darle le spalle ed uscire dalla stanza. Lui non l’aveva guardata dritta negli occhi nemmeno una volta. Non aveva nemmeno chiesto come stesse. Non aveva voluto sapere niente di lei.
“Aspetta.” Lo chiamò con voce flebile.
Lui si girò e lei abbassò lo sguardo, sentendosi colpevole.
“Che c’è? Non ti sei ancora stancata di lamentarti?” fece lui, appoggiandosi allo stipite della porta, aprendo la cerniera del giacchetto. Sotto non aveva niente. Le era corso incontro senza nemmeno mettersi una maglia, solo il giacchetto.
Le parole che avrebbe voluto urlare per difendersi dai suoi occhi che non osavano guardarla, le morirono in gola. O forse fu l’alcool che la obbligò ad inghiottirle. Alzò lo sguardo su di lui e sperò che lui facesse altrettanto. Ma non fu così: i suoi occhi stavano guardando il letto, non lei.
“Senti…” tentò di iniziare un discorso. Non sapeva cosa avrebbe detto, né cosa voleva dire. La sua bocca tremava e sentiva dentro di sé il suo stomaco agitarsi ed impedirle di formulare un qualche discorso che potesse contenere una minima parvenza di serietà.
“Non voglio sentire scuse o qualcosa del genere.” Tagliò corto lui. “Non ora.” E finalmente alzò i suoi occhi verdi su di lei, che provò una fitta strana, non seppe se al cuore o allo stomaco.
Lei osservò quegli occhi di quel colore unico. Li invidiava e…
“Mettiti sotto le coperte e dormi. Domani mattina ti riaccompagno nel tuo appartamento.” E si passò una mano tra i disordinati capelli neri. Li portava così da non sapeva nemmeno quanto. Forse, non avevano mai avuto un ordine.
Lei annuì, passandosi una mano sul viso, per poi sospirare. Si tolse il giacchetto e lo posò sul letto.
“Non avevi una borsa?” domandò lui.
La ragazza sgranò gli occhi.
Cacchio!
“L’ho dimenticata!” esclamò. Come minimo non l’avrebbe nemmeno più ritrovata.
“Tranquilla,” sospirò lui, come se si aspettasse una cosa del genere da una come lei. “La andiamo a cercare domani.”
A quelle parole, lei sembrò calmarsi e rilassò i muscoli.
“Be’, allora grazie.” Disse, nascondendo il suo sguardo imbarazzato con un sorriso abbozzato.
Lui sembrò apprezzare quel tentativo di sorriso e gliene regalò uno per contraccambiare, ma ciò che lei non calcolò minimamente era il suo potere disarmante ed ammaliante. Un altro movimento strano da parte del suo stomaco la fece irrigidire.
Poi vomitò.
_______________________

Eccoci alle note finali. Voi mi conoscete, sapete che ho un paio di punti a cui in un modo o nell'altro tengo molto o a cui sono particolarmente affezionata, no? Tipo: mi piace giocare con il colore degli occhi, do al colore dello sguardo molto significato quando due persone si guardano, oppure il colore dei capelli - avrete notato il colore ricorrente, vero? :o: Vabbé, queste sono piccole cose che ho voluto inserire tanto per aggradare a me stessa la lettura e l'immagine dei vari personaggi :D Se non vi piacciono, siete liberi di immaginarvi lei coi capelli blu e lui con gli occhi gialli u.u

E ora, sappiate che prima di pubblicare un nuovo capitolo, cercherò di concludere l'altra storia, che comunque ha sempre meno capitoli da presentarvi, quindi non dovrebbe mancare molto - sarebbe strano il contrario...
Alla prossima, gente!

Edited by Ibba - 5/3/2011, 19:52
 
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Pozz
CAT_IMG Posted on 5/3/2011, 23:18




Posso essere sincero?
Mi sembra diversa dai tuoi soliti personaggi questa tipa qua.
Però magari è solo una mia impressione.
Ho trovato la protagonista molto più intrigante e la situazione un pò assurda... Sono note positive eh!
Oltre alla normale scorrevolezza, queste caratteristiche credo che rendano ancora più coinvolgente il racconto.
Ovviamente ora serve il seguito :)
 
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Ibba
CAT_IMG Posted on 6/3/2011, 00:06




Be', da questa storia a "Sopravvivere" ci corrono ben tre annetti abbondanti! Non ti nascondo che mi fa quasi un certo effetto vedere la grossa differenza sull'elaborazione della trama, tra queste due storie. Cioè, proprio anche a livello di quantità di tempo dedicato ad intrecciare i vari fili. Mi sento cresciuta XD
Il fatto che poi tu abbia detto che ti sembra diversa - ora devi leggere i prossimi capitoli, che come avrai capito saranno a qualche anno di distanza, e poi vedremo se sarai ancora dello stesso parere! - non può quindi che farmi piacere, perché vuol dire che sfuggo almeno un po' alla ripetitività! Via, allora spero di non deluderti con quello che spetterà ai vari personaggi ;)
 
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Ibba
CAT_IMG Posted on 10/9/2011, 17:02




A Little Connection Between Them
(2011)


Aprì la porta e il campanello che Sofia vi aveva appeso suonò, avvisando l’uomo del loro arrivo. La donna posò la borsa sul mobiletto che affiancava il piccolo ingresso dell’appartamento e si tolse il giacchetto lungo di velluto che si era comprata proprio il giorno precedente. Aveva riscosso e quindi era un’usanza prendere per sé almeno un oggetto. Ovviamente non aveva voluto spendere più di una trentina di euro, quindi non sapeva fino a quanto sarebbe durato, visto tutti i maltrattamenti che gli avrebbe fatto sopportare.
“Sofia, torna qui.” La chiamò la donna, appendendo il giacchetto all’attaccapanni.
“Ma volevo salutare papà!” trillò lei in risposta, affacciandosi alla porta della cucina con i suoi capelli neri che le dondolavano sulle spalle.
“E papà voleva salutarla prima di subito.” Rise l’uomo, prendendola in braccio e stringendola forte a sé. “Come è andata all’asilo, piccola?” Le domandò, dopo averle schioccato un grande bacio in fronte.
“Bene! Ho colorato!” rispose con un sorriso. “Guarda!” e gli mostrò le mani tutte sporche di mille colori, prova evidente delle sue parole.
La donna rise, sistemandosi i capelli rossicci dietro l’orecchio. Si avvicinò alla bambina e le tolse il giacchettino verde con l’aiuto dell’uomo, che le sfilò prima una manica e poi l’altra. Tornò nell’ingresso per posarlo insieme al proprio e si guardò un istante allo specchio, sistemandosi il colletto della camicia bianca che sporgeva dal maglione beige che indossava.
“Mamma deve tornare a lavorare oggi pomeriggio, quindi fai la brava con papà, mi raccomando.” Le accarezzò la testa corvina. I suoi capelli lunghi e mossi ricordavano tanto quelli del padre. Purtroppo non aveva preso il suo colore degli occhi, ma non poteva dispiacersi: li aveva comunque di un blu intenso che chissà quale loro gene portava. Lei, dopotutto, li aveva marroni e lui verdi.
Lei annuì energicamente, stringendo le braccia intorno al collo dell’uomo.
“Ancora indaffarata in quel progetto?” si informò lui, rivolgendosi alla donna, seguendola in cucina con Sofia ancora in braccio, che giocava con i cordini della felpa rossa che indossava.
“Eh, già.” Confermò stanca la donna. “Sono due settimane che io e Chiara seguiamo Pietro in ogni suo bizzarro particolare per la costruzione della casa. E dovresti sentire le proteste dei committenti!” Sospirò, aprendo il frigo per vedere se erano rimasti degli avanzi della sera precedente. Anche in quell’occasione lei non c’era stata ed era stato l’uomo a cucinare tutto. “Penso che prima o poi non risponderò più delle mie azioni e lo prenderò a calci.”
“Perché?” chiese innocente Sofia, piegando la testa di lato e fissandola con aria interrogativa e curiosa.
“Perché il capo per cui lavoro cambia idea ogni giorno e la mamma non sa ancora come deve disegnare la casa.” Spiegò, chiudendo il frigo ed andando verso la bambina. Aprì le braccia e fece segno all’uomo di farla tenere in braccio un po’ anche a lei. Lui gliela passò e Sofia si aggrappò subito alla spalla della madre, tornando però ad analizzare quei cordini rossi della felpa, tirandone prima uno e poi l’altro.
“Sofia, poi tocca a mamma sistemarli se li tiri fuori tutti.” La rimproverò dolcemente il padre.
“Ma tanto non li tiro fuori.” Rispose senza guardarlo, presa com’era a rigirarseli tra le mani.
“Allora va bene.” Le sorrise.
“Mamma, ho fame.” Li informò poi la piccola, sgambettando per scendere. La donna la accontentò e lasciò che si dirigesse verso il solito sportello in basso a sinistra della stanza per prendere il suo pacchetto di biscotti preferiti.
“Sofia,” la mise in guardia lei. “Sai la regola, vero?”
La bambina annuì mesta e recitò a memoria: “Prima di pranzo, solo un biscotto.”
“Esatto.”
“Però ho fame.” Si lamentò lei.
“Sì, ora si mangia.” La consolò lei, aprendo un altro sportello. Prese una pentola e la riempì d’acqua, per poi accedere il fuoco del fornello più grande ed aspettare che bollisse. “France, prepari tu il sugo?” chiese all’uomo.
Lui annuì, tirando fuori una padella dal cassetto sotto il forno e vi fece un cerchio di olio, per poi prendere i pomodori dal cesto delle verdure in frigorifero. Ne sbucciò un paio e li tagliò in piccoli pezzi prima di metterli a cuocere nella padella insieme a qualche spezia.
La donna finì di apparecchiare, aiutata dalla figlia, e si sedette poi su una sedia ad osservare Francesco prendere in braccio Sofia per farle girare il sugo con il mestolo di legno. Era ormai una cosa quotidiana e a Sofia piaceva tantissimo sentirsi grande e dare una mano. Quando ogni tanto veniva portata da sua madre, adorava aiutarla a lavare i piatti sporchi che non entravano in lavastoviglie. Era una bambina adorabile. Iperattiva, certo, ma dopotutto, aveva quattro anni, quindi era più che normale.
Appoggiò il mento alle mani incrociate che aveva sul tavolo e li osservò con un dolce sorriso sulle labbra.
“Ah, Eli,” la chiamò l’uomo. Lei alzò la testa e rispose con un mugolio di assenso. “Oggi pomeriggio viene Daniela.” La informò. La donna non poté che sentire una strana fitta inappropriata allo stomaco. Odiava quella donna e di certo non voleva che sua figlia potesse stare con lei. Nonostante tutto questo, però, sapeva che i suoi erano discorsi troppo egoisti: Francesco poteva fare quello che voleva. Non erano affari suoi, quelli.
“Lo sai cosa penso.” Gli disse cercando di nascondere l’ansia. E che dire, poi, di Sofia? Lei per prima doveva starci lontana.
L’uomo sospirò come spazientito e mise per terra la bambina, che protestò battendo il piccolo piede per terra.
“Elisa, non posso dipendere sempre dai tuoi orari.” Le fece notare, aggrottando la fronte e diventando più serio. “Anche io ho una vita, non solo tu.”
E chiamala vita, pensò sarcastica, sbuffando.
“Mamma, papà, non litigate ancora!” li rimproverò lei, indicandoli con il dito indice, proprio come facevano loro quando lei combinava – o era in procinto di architettare – qualche guaio. “Sennò vi metto in punizione.”
I due si guardarono e sorrisero per le parole della bambina. Era sempre lei a riparare ai loro errori che preannunciavano – anche se involontariamente – una lite. Non era loro intenzione stare sempre a discutere su tutto – o almeno, non sua: per quanto riguardava Francesco, non sempre riusciva a capire cosa avesse per la testa, nonostante tutti quegli anni in cui avevano vissuto insieme – ma la situazione che si erano costruiti intorno non permetteva che tutto andasse proprio lisco come l’olio.
“Allora chiamo Daniela e le dico di rimandare.” Disse. Elisa non poté che trarre un silenzioso sospiro di sollievo, ma sapeva che questa beatitudine sarebbe durata solo qualche giorno. Presto Daniela sarebbe approdata lo stesso in quella casa, ma Elisa avrebbe cercato di portare Sofia con sé, se mai questo giorno fosse giunto.

***



L’aveva chiamata solo un’ora prima per avvisarla del cambiamento di programma, aggiungendo che si sarebbero potuti vedere, ma non a casa sua. Daniela sembrò capire e acconsentì di cambiare il luogo di ritrovo, invitandolo nel suo appartamento di periferia. Era un palazzo moderno, il suo, Francesco ne era un vero esperto, laureato anche lui in Architettura, proprio come Elisa, e a suo parere anche molto interessante per i suoi snodi ai vari piani, con vetrate luminose proprio in corrispondenza dei punti cardinali più significativi e decisamente ben strutturato.
Salì con l’ascensore fino al terzo piano, dove Daniela lo stava aspettando. I suoi lunghi capelli biondi erano sciolti sulle spalle, ondeggianti, quasi provocanti, mentre le sue labbra rosse risaltavano sulla pelle candida. Sembrava quasi una bambola, bella, forse delicata, ma non in quel momento, infatti tutto avrebbe potuto far pensare tranne che fosse fragile, delicata e indifesa. La fronte era aggrottata, gli occhi socchiusi in due minacciose fessure e la bocca storpiata in una curva tagliente. Francesco sospirò, entrando fugacemente nel suo appartamento arredato in stile moderno e si sdraiò sul divano, contando quanto ci avrebbe messo la donna prima di inveire contro di lui.
“È colpa di Elisa, vero?” mani ai fianchi, tono burbero e l’accusa pronta da chissà quanto, visto che non aveva impiegato nemmeno cinque secondi a sbottare. “Perché diamine non vuole che stia anche un po’ con Sofia?”
“Be’, lo sai come la pensa al riguardo.” Alzò le spalle lui, cercando di apparire più tranquillo possibile. Daniela era una donna affascinante, provocante, bellissima, ma quando assumeva quell’aria truce faceva paura. Sembrava quasi dotata di una forza divina che le avrebbe dato il potere di scatenare l’Apocalissi solo con un battito di ciglia.
“Ma è anche tua figlia, santo cielo! Perché non glielo fai capire?”
Lui le offrì una mano, che lei accettò scocciata, e la fece sedere affianco a sé, avvolgendole le spalle con un braccio, mentre lei appoggiava la testa sulla sua spalla, placando la sua ira magicamente. In realtà Francesco sapeva bene quanto lui potesse influire sul suo comportamento. E sapeva altrettanto bene come lei dipendesse totalmente da lui. Non era tanto che l’aveva conosciuta – quattro mesi – ma da subito lei gli era caduta ai piedi, in tutti i sensi. Quello che più di tutto lo colpì, fu però il modo in cui lei tentava di nascondere il suo interesse, apparendo involontariamente impacciata, goffa e buffa. L’aveva conquistato, insieme alla sua sensualità.
“Dani, io non voglio litigare sul possesso di Sofia.” Spiegò, iniziando a massaggiarle una spalla, mentre lei gli prese l’altra mano tra le sue, giocherellando mansueta con le sue dita. “Finché starà bene in questa situazione, non vedo perché si debba forzarla a scegliere.”
“Ma sono io che non sto bene in questa situazione.” Esclamò sconcertata. Lo guardò negli occhi, come se volesse fargli capire quello che provava. “Non capisci che un giorno Elisa si sposerà con Marco e si porterà via Sofia?”
“Se hai intenzione di usare la tua psicologia con me, sappi che questa volta non abbocco.” Ghignò, sapendo bene quale effetto potesse avere quel suo sorriso su di lei.
“Non sto usando nessuna psicologia, France.” Abbassò lo sguardo, continuando a muovere le sue dita con dolcezza sulla sua mano. “Sto solo cercando di farti capire come la penso al riguardo.”
“Distruggendo la mia famiglia?” Ironizzò.
“Francesco,” lo guardò seria lei. “Loro sono una parte della tua famiglia.”
“Sono lo stesso la mia famiglia.” Si impuntò lui. Sapeva che era una pessima scelta, ma non gli piaceva quando lei si incaponiva per fargli accettare le sue parole. E soprattutto non gli piaceva che la sua famiglia potesse essere tirata in ballo in una discussione in cui non entrava, in particolare la piccola Sofia.
Lei, come prevedibile, si scansò bruscamente da lui, squadrandolo come se l’avesse offesa pesantemente. Aprì la bocca pronta a ribattere, ma non le usciva niente se non che borbottii disconnessi, al che chiuse gli occhi e respirò profondamente, senza tornare ad avvicinarsi, nonostante lui avesse allungato un braccio per accorciare le distanze tra loro.
“Mi fai perdere la pazienza quando fai così!” esordì accigliata, alzandosi dal divano e tornando a guardarlo dall’alto verso il basso, le mani nuovamente sui fianchi nel suo atteggiamento da prima donna fallita.
“Sei tu che hai iniziato la discussione, Dani.” Chiarì lui, incrociando le braccia al petto, capendo all’istante l’inutilità del tentativo di riavvicinarla.
“Ti sbagli!” replicò lei, puntandogli un dito contro, che lui scacciò come una fastidiosa mosca. “Io non volevo discutere, volevo solo parlare tranquillamente!”
“Come al solito, il tuo tranquillamente si è alzato di qualche ottava.” Già, se veniva attaccato, rispondere era qualcosa che gli veniva automatico, con tutti i pro e i contro, come appunto quello sguardo lampeggiante che le attraversò gli occhi, ma se c’era una cosa che tutti e due avevano imparato dopo quattro mesi di rapporto, era che se avessero continuato a essere entrambi in balìa dei loro istinti peggiori, non ne sarebbero usciti tanto facilmente, quindi Daniela fece un respirò ancora più profondo e tornò a guardarlo tristemente negli occhi.
“Ma non capisci che Elisa non ti vuole togliere le mani di dosso?”
Lui la guardò aspettando che continuasse il suo monologo, che come da manuale, serviva a spiegare le sue ragioni oltre che a sfogarla. “Voi non state più insieme, giusto? E allora perché deve sempre mettersi in mezzo tra noi? Io voglio conoscere tutto di te, anche tua figlia.” I suoi occhi iniziarono a luccicare e Francesco le allungò nuovamente una mano, capendo esattamente quale fosse il momento più opportuno per tentare di riconciliare le cose tra loro. “Dopotutto, Sofia è la bambina dell’uomo che amo.” Si accoccolò contro il suo petto, stringendo tra le mani la sua camicia a quadri che più spesso Elisa aveva definito da boscaiolo, ma che gli aveva comprato lei stessa, sostenendo che gli stesse bene. Francesco abbracciò la donna e le massaggiò la schiena con una mano.
“Lo so che ci stai male per questo.” Mormorò lui, soffocando la sua voce tra i capelli dorati di Daniela. “Ma, per piacere, non entrare più in questa faccenda. Per Sofia, io e Elisa siamo mamma e papà e anche se non siamo sposati, non vuol dire che non si possa essere dei modelli per lei. Elisa non vuole che tu ci stia troppo vicina perché teme di poter essere sostituita.”
“Francesco, quando lei andrà a vivere con Marco, si porterà dietro Sofia.” Insistette lei.
“Di questo non c’è niente di certo. La questione non è ancora stata tirata in ballo e noi volutamente non vogliamo parlarne.” Poi sospirò. “Ma, sì, arriverà anche quel momento. Comunque sarà sempre una cosa che riguarda me e Elisa, capito?”
Daniela annuì, strusciandosi contro il suo petto. “Scusa la sfuriata.” Mormorò colpevole.
“Non importa, Dani.” Rise per smorzare quel momento di tristezza. “Lo so come sei fatta, con tutti i pregi e i terribili difetti.”
“Ehi, perché l’aggettivo esalta solo i difetti?” lo guardò falsamente ostile, arricciando le labbra come per sfidarlo a ribattere.
“Perché i tuoi difetti sono molto sensuali.” Le sorrise malizioso. “Soprattutto se siamo in prossimità di finire a fare sesso.”
Lei si tirò su e si mise a cavalcioni su di lui.
“E pensi che questo sia uno di quei momenti?”
Lui la cinse per i fianchi e l’avvicinò a sé, baciandola. “Decisamente.”

***

“Mamma!” trillò eccitata. “Guarda! Guarda!”
Elisa le si avvicinò e si sporse oltre la spalla della piccola, che, in piedi su una sedia della cucina, stava ritagliando la pasta per i biscotti con le formine che le aveva dato lei. Era raggiante all’idea di potersi sporcare le mani e impasticciare la tavola.
“Che bello, tesoro!” le sorrise, abbracciandola e schioccandole un baciò sulla guancia.
“Guarda! Questo è un elefante!” e prese in mano il biscotto ancora crudo per farglielo vedere meglio. “Vedi? Ha il naso lungo!”
“Attenta, però,” l’avvertì lei, abbassandole il braccio. “Vanno cotti prima di prenderli in mano, sennò si rompono.”
“Sì, allora non li tocco più,” esclamò. “Ma guarda bello questo!” zampettava sulla sedia, mentre Elisa ancora la teneva stretta tra le braccia per non farla cadere. “Questo è un pesce!” Poi si sbilanciò sul tavolo afferrando un'altra formina e guardandola dubbiosa. “E questo cosa è?”
Elisa gliela prese dolcemente di mano e la capovolse, per poi renderla alla piccola. “Secondo te cosa è?”
“Una barca!” e subito lo pestò contro un altro pezzo di pasta, creando una nuova forma per i biscotti.
Elisa raccolse i trucioli che Sofia aveva sparso per tutto il tavolo e tornò a impastarli per non buttare via niente, quindi con il mattarello stese di nuovo la pasta, permettendo alla bambina di disegnare delle stelle e delle luce, squittendo per i risultati che otteneva. Si allontanò ed accese il forno per farlo scaldare a sufficienza e cuocere i biscotti, e mentre si sedeva su una sedia ad osservare Sofia che si divertiva a imprimere le varie forme a sua disposizione sulla pasta, pensò a quanto era stato meglio aver annullato la riunione del pomeriggio piuttosto che far venire Daniela.
Non era una persona cattiva e non aveva nemmeno l’intenzione di esserlo, ma Elisa non riusciva a sopportarla. Si era presa la briga di ispezionare ogni sua idea al riguardo, persino pensare che inconsciamente era ancora attaccata a Francesco, ma si era anche distrutta l’ipotesi, perché Francesco era già stato con altre ragazze, aveva avuto molte – forse addirittura troppe – relazioni da quando si conoscevano, e mai nessuna di quelle ragazze, magari tranne un paio, erano riuscite a irritarla a tal punto. Più volte si era chiesta se fosse un problema suo o di Daniela, ma più tentava di pensare razionalmente a quella donna, più vedeva che tutti i difetti che Elisa le trovava, non potevano essere sufficienti a farle provare tutta quella diffidenza nei suoi confronti.
Daniela era bella – bionda, con grandi occhi azzurri e le labbra di un rosso quasi finto, ma tutta genuina – era intelligente e si era laureata in psicologia seguendo perfettamente la sua tabella di marcia, restando sempre in pari con gli esami e non aveva mai scombussolato troppo la propria media. Erano tutte notizie apprese da Francesco, che più volte le parlava dei suoi successi per smorzare quella rabbia che Elisa non cercava nemmeno più di nascondere.
“Lo sai cosa dicono delle bionde, no? Sono tutte sceme.” Esordiva Elisa ogni tanto.
“Vero, ma solo quelle tinte, Dani è naturale. E poi è una psicologa, scema non lo è di certo.” La sbeffeggiava puntualmente lui, vincendo sempre su quelle discussioni e riuscendo sempre a difenderla.
Per quanto, però, lui potesse stare dalla sua parte per evitare che in occasioni del tutto sconvenienti Elisa potesse anche solo provare ad attaccar briga con Daniela, lei non riusciva a pensare che quella donna quasi fosse inopportuna in un momento come quello, un momento che per Sofia voleva dire molto, perché erano i suoi anni della scoperta, della capacità di apprendimento. Stava crescendo. E aveva bisogno della più totale attenzione da parte di entrambi i genitori.
Elisa guardava sua figlia continuare a giocare con la pasta, preparando le forme più strane per i biscotti, divincolandosi sulla sedia per raccogliere le formine più lontane, facendo sobbalzare Elisa per la paura che potesse cadere a terra. Sofia aveva un’aria così allegra che quasi faceva invidia. Sorrideva e ridacchiava per ciò che stava creando con così tanto impegno e se veniva male, aveva imparato ad accartocciare quel pezzo di pasta e a rimetterla nell’impasto generale, che Elisa avrebbe poi sistemato.
Da quanto Francesco non vedeva più quello che vedeva Elisa? E non solo in senso letterale. Da quando Daniela era entrata nella sua vita – e di conseguenza anche nella loro, sebbene Sofia ancora non l’avesse incontrata di persona – Elisa aveva notato che di giorno in giorno, Francesco usciva sempre più spesso. Era questo che non sopportava: Daniela lo stava allontanando.
Elisa sospirò. Le sarebbe piaciuto veramente dire certe cose, ma non poteva, perché vedeva con i propri occhi quanto Francesco in realtà ce la mettesse tutta per trovare sempre spazio per loro. Ogni volta che tornava a casa, era sempre disponibile e non si dimostrava mai stanco, mai una volta aveva mormorato che non richiedesse le sue donne, come le chiamava lui. Con nessun’altra usava quell’appellativo, solo con loro due, e questo rincuorava Elisa, che al solo pensiero tornava a sorridere, sentendosi fiera ed orgogliosa, oltre che contenta di aver scelto di percorrere quella strada irta di spine ed in salita. Tutte le sere, Francesco si sedeva sul divano con Sofia in braccio, facendosi raccontare tutto quello che aveva fatto. Ed era sempre lui a metterla a letto, per poi tornare da Elisa e parlare con lei, che dopo una giornata di devastante lavoro, quasi non vedeva l’ora di tornare dalla sua famiglia e sentirsi coccolata.
Francesco era una persona dalle mille facce. Era sempre il solito, perché tutte quelle innumerevoli facce erano una parte sua, sebbene non sempre era semplice scinderle e approfittare di un suo atteggiamento in particolare. Lui era una persona ‘libera’, che viveva alla giornata, che faceva in un abbondante novanta percento delle volte di testa sua, che quasi sempre era la scelta migliore. Per quanto enigmatico, infantile, spavaldo e strafottente potesse mostrarsi la maggior parte delle volte, mandando su tutte le furie Elisa, Francesco era anche gentile, serio all’occasione, e capace di capire quando era necessario il suo aiuto.
Alla fine di tutto l’elenco dei pregi di Francesco, Elisa si sentì quasi uno schifo. Anche rispetto a Marco, lei era quella casinista, quella permalosa che sarebbe stata in grado di mantenere il muso per giorni, quella che dava sempre troppo spazio all’istinto anche dopo un’elevatissima dose di paranoie che avrebbero mandato in tilt centinaia di cervelli. Era circondata da uomini straordinari e per un attimo si ritrovò a chiedersi se li meritasse seriamente. Quando poi pensò che erano stati loro ad accettare la sua vicinanza, sorrise, riuscendo a pensare che allora forse non era quel danno umano che più volte sua madre le aveva rinfacciato di essere. Magari era indispensabile che per una donna come lei fossero necessari degli uomini come loro, tanto per equilibrare il baratro che li divideva.
Quei pensieri la misero decisamente più di buon umore di quando Francesco era uscito, tranquillizzandola e facendola tornare a sorridere allegra, avvicinandosi alla bambina per poter aiutarla a concludere quella sua prelibata creazione pasticciera.
“Mamma, stasera li facciamo mangiare a papà, va bene?”
“Certamente!” e le schioccò un bacio sulla fronte, mentre inseriva la prima teglia piena nelle guide del forno. Sofia la raggiunse e si affacciò al vetro caldo per osservare la sua opera durante la cottura e lei si sedette per terra a fianco a lei, prendendo la piccola tra le braccia e facendola sedere sulle sue gambe.
L’unico pensiero che balenò nella testa di Elisa fu che quel tenero quadro di famiglia sarebbe stato perfetto solo con la presenza di Francesco al suo fianco.

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Ok, questo è il secondo capitolo che ho voluto pubblicare proprio in concomitanza della conclusione di "Sopravvivere" :)
Spero sia di vostro gradimento! :D
 
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Ibba
CAT_IMG Posted on 28/12/2011, 18:22




III Capitolo

“Veramente noi preferivamo tutt’altro…” La voce di Cristina Bernardi era lieve, quasi avrebbe preferito non azzardarsi ad aprire bocca, ma dopo aver visto il progetto che Pietro Orlandi le aveva messo sotto gli occhi non si era potuta trattenere.
“Già, quello a cui eravamo giunti l’altra volta poteva essere un buon punto di partenza.” Intervenne Giacomo Bernardi, suo marito, nonché figlio di buona famiglia con molti soldi sulle spalle, e quindi una delle tante prede preferite del capo di Elisa.
“Sì, ma non è adatto ad un’epoca come questa.” Ribatté Orlandi, dondolandosi sulla sua sedia di pelle nera, mentre guardava con aria di sfida quella coppia, che fissava il progetto per niente convinta. Elisa e Chiara erano attorno al tavolo in silenzio. Nemmeno a loro andava bene quella rivoluzione che aveva messo in atto Pietro, ma non potevano opporsi. Vicino a loro anche Emanuele Rossini e Antonio Della Rosa osservavano le modifiche apportare il progetto in un silenzio quasi tombale, se non fosse che ogni tanto si lasciavano sfuggire un brusio di approvazione.
“D’accordo,” sospirò Giacomo. “Ma non potrebbe almeno tornare sui propri passi e discutere con noi delle prossime idee?” I suoi occhi scuri trasudavano un’irrefrenabile voglia di lasciare quella stanza seduta stante, ma sua moglie lo stava magicamente trattenendo con una mano attorno al suo braccio. “Non mi piace che in nostra assenza lei proponga variazioni che non rispecchiano il progetto iniziale.”
“Ascoltate, io so come prendere il meglio dalle strutture, e in questo modo vi garantisco che il gioco di luci ed ombre sarà molto suggestivo, nonché con un effetto molto intrigante nel contesto ambientale.” Ribatté Orlandi senza esitazioni, incrociando le braccia al petto.
“Ok, abbiamo capito.” Respirò profondamente l’uomo. “Ma a noi non piace!” stava perdendo le staffe. “Mettiamola su un piano di gusti personali: questo labirinto di muri che si intrecciano potrebbero essere suggestivi per qualcosa di molto più imponente, ma non sono adatti ad una casa che al massimo prevede una decina di stanze!”
“Se permettete,” si intromise Rossini. “L’architetto Orlandi sa di cosa parla. Dopo aver analizzato il luogo in cui realizzare l’edificio, ha optato per questa soluzione in chiave moderna, che in periferia potrà godere del massimo splendore, dal momento che si sa, il moderno è per le metropoli o la periferia delle antiche città.”
Elisa guardò l’orologio che teneva al polso con disgusto, mentre sentiva quelle parole. Rossini, purtroppo, era un leccaculo sfrontato, capace di vedere sempre il meglio nei progetti del capo, anche quando il meglio era pressoché inesistente. Erano le sei e mezzo, e lei era già in ritardo di un’ora abbondante. Doveva andare a prendere Sofia da sua madre, che sicuramente non avrebbe resistito a recitarle la sua irresponsabilità. Se a questo presentimento più che fondato aggiungeva anche la sua più totale intolleranza a quelle stronzate che Orlandi continuava a sparare senza ritegno, poteva benissimo vedersi proiettata in una serata all’insegna dei nervi a fior di pelle che solo un miracolo avrebbe potuto domare.
“Se permette lei,” stava replicando Bernardi. “Noi siamo venuti in questo studio con un’idea precisa, gliel’abbiamo mostrata e ci era stato detto che non c’era alcun problema, che la realizzazione non avrebbe previsto troppe modifiche e tutta un’altra serie di frasi simili, che ora – se permettete – ci sembra fossero tutte cazzate.”
“Giacomo, calmati…” aveva sussurrato Cristina.
“No, ora basta!” si liberò dalla mano della moglie e batté la mano sul tavolo. “Non so come siete abituati a lavorare qui, tutti voi, ma noi siamo abituati che se delle cose non ci vanno bene, allora ce ne andiamo. Troveremo un altro studio.” E si alzò. “Vieni, Cristina.”
“No, aspettate!” li aveva richiamati Della Rosa, altro leccaculo patentato. “Non fate così, tornate qui e ne parliamo.”
“Non per dire, ma ne avete parlato anche troppo. Se loro se ne vogliono andare li capirei benissimo.” Si lasciò sfuggire Elisa, ricevendo una gomitata da Chiara che le fece strabuzzare gli occhi per le parole pronunciate senza prima pensare alle conseguenze.
“Elisa.” Orlandi digrignò i denti, voltandosi verso di lei. “Non iniziare a peggiorare le cose come al tuo solito.”
“Oh, sì, scusi.” Abbassò lo sguardo con stizza. Ma poi ci pensò: ormai aveva parlato, perché non continuare? Tanto difficilmente sarebbe stato peggio, visto che a stento si riusciva a trattenere. Sarebbe stata la volta in cui finalmente avrebbe potuto rinfacciargli la sua incapacità. “No, mi rimangio le scuse.” Si alzò in piedi, mentre Chiara la guardava come se fosse totalmente impazzita. “I Bernardi sono venuti qui con una precisa idea in mente.” Chiarì. “Proseguire su quell’idea di base mi sembra il minimo!”
“De Angelis!” si scandalizzò Della Rosa.
“Le propongo una cosa.” Si schiarì la voce. “E la propongo anche a voi.” Guardò i Bernardi che la fissavano quasi apprezzando la sua ribellione. Era strano, ma la loro attenzione e quella parvenza di riconoscenza che Elisa leggeva nei loro occhi, quasi le davano la forza di continuare a parlare. “Passi a me il progetto, me ne occuperò io.”
“Non dire idiozie.” La derise Pietro, seguito a ruota dai suoi lecchini. “Pensi di avere le capacità?”
“Fino a prova contraria sono laureata in architettura.”
“Non con il massimo dei voti, però.”
Per un attimo la vista di Elisa si annebbiò, rischiando così di cadere in balìa dei suoi peggiori istinti omicidi. Che senso aveva rinfacciarle una cosa simile? Era incinta e ovviamente si sentiva spossata, aveva dovuto passare un anno stressante e incredibilmente pesante, affrontando tutto quel periodo che solitamente le donne affrontano con il loro compagno. Lei invece era sola e spaventata, per non dire che sua madre le aveva praticamente voltato le spalle, ritenendola una disgraziata. Come poteva anche solo sperare di laurearsi con il massimo dei voti?
“A noi va bene.” Intervenne Giacomo, facendo tornare la lucidità tra i pensieri di Elisa.
“Davvero?”
“Sì,” le sorrise Cristina. “Ci sembra una buona idea.”
“Diciamo che sarebbe l’unica cosa che ci potrebbe trattenere in questo studio.” Aggiunse il marito, rivolto a Pietro, come se volesse sfidarlo a replicare per bocciare quella proposta.
Orlandi, infatti, aprì e chiuse la bocca un paio di volte, boccheggiando in cerca di una risposta che non trovò, poi sospirò e chiuse gli occhi con rabbia. “D’accordo. De Angelis, il progetto è tutto tuo.” Lo disse quasi come se fosse stato un ringhio, Elisa non ci badò, non riuscendo a trattenere un sorriso di vittoria che ad un’occhiata inteneritrice di Pietro svanì all’istante.
La riunione si concluse così, senza più una parola. I Bernardi le strinsero la mano con riconoscenza e se ne andarono, più allegri di come fossero entrati nell’ufficio qualche ora prima, e Elisa, sebbene si sentisse elettrizzata per la vincita di quel giorno, non poté che ritenersi una vera idiota che si era rovinata da sola. Certo, aveva già assistito interamente a diversi progetti, ma questa volta sarebbe stata la sua firma a contare, sarebbe stata tutto sotto la sua responsabilità e, soprattutto, aveva appena soffiato un progetto al suo capo, che di certo avrebbe fatto di tutto per farglielo pesare.
Mentre Chiara le saltava al collo entusiasta per le palle che aveva mostrato a tutti i presenti, Elisa si trovò a ripensare su quello che aveva fatto: si era scavata la fossa con le sue stesse mani.

***

Era sera, il sole stava tramontando e lei era in ritardo. Aveva detto a sua madre che sarebbe andata a prendere Sofia verso le cinque, ma erano le sette e si era completamente dimenticata persino di chiamarla. Avrebbe potuto scusarsi dicendo che il suo capo l’aveva trattenuta fino all’esaurimento della sua pazienza per esporle i piani del progetto a cui stava lavorando con i Bernardi, i clienti di cui si stava occupando al momento, ma sua madre non le avrebbe mai creduto. Lei si era giocata la più totale fiducia di sua madre rimanendo incinta e a meno che non potesse tornare indietro nel tempo ed evitare quel particolare, ora doveva solo subirne le amare conseguenze, che ovviamente la signora Anna Pratellesi-De Angelis nemmeno accennava a smorzare per farle passare inosservate.
Suonò al campanello per annunciare la sua visita, dopo aver corso su per le scale perché l’ascensore era occupato all’ultimo piano, e suo padre le aprì subito, mostrandole un cordiale sorriso di benvenuto.
Elisa entrò, senza capacitarsi di come suo padre potesse essere caduto vittima di una vipera come sua madre, ma a quelle domande, lei lo sapeva, non ci sarebbe mai stata risposta. Entrò nell’ampio ingresso decorato da finissimi quadri di autori famosi, indubbiamente delle copie, e arrivò nella grande sala, dove sua madre, nella più totale nobiltà, indossava uno dei suoi perfetti vestiti da aristocratica, in accordo con anche la preziosa acconciatura arrotolata che si faceva ogni mattina a scapito di ogni cosa. Più volte si era trattenuta dal farle presente che lei altro non era che una semplice donna vissuta nel più semplice dei modi e che a risultare tanto altezzosa ci guadagnava solo un seguito di malelingue.
“Puntuale come al solito, Elisa.” Non mancò dal farle notare, muovendosi sulla sua sedia a dondolo nei pressi di un finto camino in pietra.
“Scusa, mi hanno trattenuto.”
“Come al solito.”
Elisa sbuffò, per poi guardarsi in giro per cercare Sofia.
“È in camera mia che dorme.”
Senza rivolgerle ulteriori parole uscì dalla sala e si diresse verso la camera da letto della madre, trovando la piccola Sofia accoccolata su se stessa, a pancia sotto e le mani rannicchiate contro il petto che dormiva beata. Le si sedette affianco e le passò una mano tra i capelli corvini sorridendo. Subito, quasi come se non stesse aspettando altro, la bambina si svegliò e si attaccò con gioia al collo della madre.
“Mamma!” esclamò euforica. “Ti ho aspettato tanto!”
“Sì, scusa Sofi, ma la mamma ha avuto da fare.” Le porse una mano per farla scendere dal letto, ma lei reclamava di essere presa in braccio, ed Elisa la accontentò. Ripercorsero il corridoio, incrociando il padre che le salutò entrambi adorante. Dacché si ricordava Elisa era sempre stato un uomo burbero, ma da quando era nata Sofia, la sua maschera di uomo pauroso – ma non per questo cattivo – dell’orco che sembrava essere, si era sciolta come neve al sole, rivelando un omone buono come il pane che non faceva altro che sorridere cordiale e allegro ogniqualvolta che si trovava insieme a sua nipote.
“Ciao nonno!” lo salutò, ruotando la manina, mentre anche Elisa lo salutava con un bacio sulla guancia.
Non si affacciò per salutare sua madre, quel giorno era già abbastanza stanca per sorbirsi le sue lamentele, ma Sofia scalciò perché venisse messa giù, corse dalla nonna e le stampò un sonoro bacio su una guancia, ma Anna rimase imperterrita, solo per pochi secondi tirò le labbra in mezzo sorriso e diede due buffetti alla piccola, che ne rimase soddisfatta.
“Oggi l’hai trovata proprio nera, eh, Eli.”
“Già, parlaci tu, papà. Io per oggi me ne voglio lavare le mani.”
“D’accordo, ma promettimi che cercherai di essere più carina con lei.”
“Non mi sprecherò a ricordarti come lei possa sempre distruggere la mia felicità anche con solo uno sguardo, quindi finché non mi sarà passato questo momentaccio, è meglio che io e lei non ci si veda per un po’.” E con quella spiegazione tendente all’isterico per non poter avere la stessa fortuna della sorella – ora felicemente sposata, anche lei con una bambina che come approdava in quella casa veniva ricoperta dalle feste più calorose, quando a lei veniva diretto solo uno sguardo di sufficienza – mise il giacchetto alla bambina ed uscì da quella casa. Francesco più volte le aveva fatto notare che lei ingigantiva le cose senza osservare troppo la realtà, ma lei avrebbe scommesso che se lui si fosse trovato nella sua stessa posizione, non avrebbe fatto altrimenti.
Ma dovette ricredersi: Francesco non era il tipo da prendersela per cose del genere. Con il carattere che si ritrovava, e che più volte Elisa gli aveva invidiato, lui si sarebbe fatto scivolare tutto alle spalle, aspettando il momento migliore per tornare a fare la sua trionfale entrata nella vita delle persone.
Elisa uscì di casa salutando nuovamente suo padre e con Sofia in braccio scese per le scale, per poi raggiungere la macchina e tornare finalmente a casa dopo quella massacrante giornata.

***

Quella giornata non era iniziata nel migliore dei modi e non aveva accennato a migliorare, nemmeno dopo ore di estenuante lavoro insieme a quel folle del suo capo, che pur di non progettare la semplice e classica casetta d’amore per i neo sposini Bernardi, le stava provando tutte. E per cosa? Soldi, ovviamente. Si era veramente stancata di appoggiarlo in ogni sua ridicola modifica all’edificio, che lo faceva sembrare simile al museo di Bilbao. Chiara quel giorno non c’era, aveva dei problemi in famiglia, con suo marito, e aveva deciso di prendersi una settimana di ferie non pagate per tentare di sistemare il loro rapporto con tranquillità e razionalità, senza essere troppo frustrata anche a causa del lavoro.
Elisa lo sapeva, o meglio: lo sperava. Sarebbe andata via da quello studio. Avrebbe fatto altri concorsi, sarebbe tornata a studiare, malgrado fosse la cosa che più tra tutte le alternative sul suo futuro odiava. Ma, sì, se l’Orlandi Junior – perché il vero capo dello studio, l’Orlandi Senior, passava soltanto un paio di giorni al mese in ufficio a controllare i vari incarichi – non avesse cambiato modo di fare, lei avrebbe alzato i tacchi e dopo avergliene piantato uno nel petto come un paletto contro i vampiri, avrebbe abbandonato quel posto.
E quella sera sua madre era stata proprio inopportuna. Era sempre stata inopportuna, ma quella sera in particolar modo si era ritrovata a dire quel poco che disse proprio a sproposito, e Elisa dovette sforzarsi di lasciare il sorriso sulle labbra in presenza di Sofia, mentre avrebbe volentieri preso a testate il volente, cercando così almeno di non pensare a niente per un po’.
Una volta arrivata a casa, trovò Francesco sul terrazzo mentre fumava una sigaretta, e prima che la piccola lo vedesse, lei si annunciò con un eloquente e sottointeso invito a smettere.
“Ecco le mie donne!” esclamò quindi lui, entrando euforico nella sala, chiudendo la porta a vetri dietro di sé e prendendo al volo la bambina che si era lanciata contro di lui. “Cosa avete fatto di bello, oggi?”
“Io ho giocato con nonno!” rispose Sofia, per poi lasciarsi conquistare da un grande sbadiglio.
“Hai sonno, eh, piccolina?” le baciò il naso e la portò verso camera sua. “Hai già mangiato?”
Elisa li vide scomparire nella stanza oltre il corridoio e si buttò a peso morto sul divano bianco della sala, con ancora il giacchetto addosso e la borsa in spalla. Chiuse gli occhi e sospirò. Quella era decisamente la serata più stancante di quel mese, ma dovette ammettere che tornare a casa e trovarsi di nuovo in quel piccolo appartamento intriso di calore e di odore di famiglia, la rilassò quasi completamente. Ne aveva proprio bisogno di vedere come Francesco e Sofia fossero sempre di buon umore, riuscendo il più delle volte a contagiare con la loro energia anche Elisa. Stava ancora pensando alla scena che le avevano proposto qualche minuto prima con un sorriso forse ebete, o forse soltanto felice, quando Francesco tornò con il giacchetto verde mela della bambina e lo posò all’attaccapanni, per poi dirigersi verso il divano e prendere Elisa per le spalle. Iniziò a massaggiargliele come solo lui sapeva fare e come tante volte lei ne aveva approfittato – in passato anche con scuse, solo per poter avere un contatto con lui.
“Sei tutta rigida, Eli.” Sussurrò, continuando a strusciare le sue mani su di lei. “Togliti il cappotto, così mi riesce meglio.” Lei non se lo fece ripetere due volte e si spogliò, rimanendo con la camicia a righe bianche e celesti che dopo una giornata come quella era da frullare senza alcun ripensamento nella lavatrice. “Che ti è successo oggi?”
“Di tutto.” Mormorò lei. Decisamente quel massaggio le ci voleva tutto. “Prima Orlandi, poi mia madre…”
“Raccontami, tanto stasera sono tutto per te.” Sorrise arrogante. Elisa non lo poteva vedere in viso, ma già si aspettava di trovarlo con quel suo sorriso gongolante per la battuta.
“Daniela ti ha lasciato?” esultò con stanchezza lei.
“Per tua sfortuna no.” Ghignò sottosfatto.
Elisa chiuse gli occhi e sospirò, sperando di far apparire quel sospiro del tutto normale, ma molto probabilmente Francesco se ne era accorto, perché sospirò a sua volta. Lui era sempre stato per lei, nel bene e nel male, la sua ancora di salvezza in ogni occasione. Era sempre stato presente, era presente anche al parto di Sofia, sebbene nemmeno pochi minuti dopo dovette uscire per non vomitare, ma c’era – e anche perché lei non gli avrebbe mai perdonato l’assenza – ma quella Daniela lo stava allontanando. Elisa lo sentiva, le notti in cui si rigirava nel letto senza trovarlo erano aumentate, il tempo che lui passava con la sua famiglia era quindi diminuito. Lei non voleva assolutamente fargli fraintendere i suoi pensieri, non voleva assolutamente fargli credere che lei lo avrebbe sempre voluto al suo fianco. No, non era ammissibile, sapeva benissimo che avrebbe chiesto troppo e non sarebbe stato giusto da parte sua. Tuttavia, tra tutte quelle con cui era stato, Daniela era proprio la peggiore. Non avrebbe detto niente, non avrebbe nemmeno fiatato, se avesse continuato a stare con Silvia, o Martina, o Caterina, o Alice… Ma proprio una come Daniela doveva trovare ora?
“Non ti sarai addormentata, vero?” le sussurrò all’orecchio, facendola sussultare.
“No.” Negò. “No, stavo riflettendo.”
“Su cosa?” le sue mani ancora la cullavano verso quello stato di tepore che precedeva il sonno. Non si era addormentata, ma se lui avesse continuato, lo avrebbe fatto molto presto. E non se ne sarebbe dispiaciuta.
“Niente di che. Lavoro, sai…” sviò. “A proposito, tu?”
Francesco sollevò le mani dalle sue spalle e già Elisa ne sentiva la mancanza, fece il giro del divano e si sedette affianco a lei.
“Ultimamente Nicola si sta occupando dei nuovi clienti con una foga incredibile. Non pensavo che un tipo come lui potesse arrivare a fare la notte in bianco solo per buttare giù un paio di idee.”
“E tu?”
“Io faccio da tappezzeria, al momento. Cioè, ovviamente tra poco dobbiamo pagare l’affitto dello studio, gli attrezzi, i muratori che ci seguiranno nei lavori.” Ridacchiò. “Non so nemmeno se ce la faremo a fronteggiare tutte queste spese.”
“Non mi sembra una costatazione così divertente.”
“Lo so, ma io la trovo buona.” Le sorrise, prendendo una mano di Elisa che teneva intrecciata all’altra sulla pancia e giocherellando con le sue dita. “Vedi, io ho sempre amato fare un lavoro che mi permettesse un po’ di vivere alla giornata.”
“France, potrei capire il ragionamento se tu fossi un cantante di strada, un attore alle prime armi, o altro di questo genere, ma sei un architetto. Costruisci le case!” sbuffò. “Non puoi permetterti di fare cazzate, l’architetto è un lavoro serio.”
“E io non ho intenzione di sottovalutarlo.” Le sorrise. “Volevo solo dire che mi piace non avere troppi programmi per il futuro. A mio parere, quello che succede senza essere previsto è molto più eccitante di quello che affronti, sapendo già che dovevi affrontarlo.”
“Lo sai che non ho mai condiviso queste tue teorie stravaganti.”
“Perché sei troppo piantata in terra, Eli.” Ridacchiò, portandosi una sua mano alla bocca e lasciandoci un piccolo bacio. “Dovresti fare un po’ più di testa tua, essere più intraprendente, cercare quello che vuoi veramente.”
“E chi ti dice che quello che voglio non ce l’abbia già?” ritrasse la mano da quelle di Francesco.
“Be’, a vederti stasera non mi sembra che tu sprizzi gioia da tutti i pori.” La squadrò.
Lei sospirò. Aveva ragione, ma per quanto lui potesse essere un uomo dalle grandi vedute, dalla mentalità più che aperta, sempre pronto ad accettare il futuro per quello che era, lei era più concreta. Non era colpa sua se doveva frenare la voglia di mandare al diavolo tutto lo studio in cui lavorava, e non era colpa sua se doveva frenare l’istinto di dire chiaramente a sua madre quello che pensava, semplicemente se avesse fatto come le diceva la sua parte irrazionale, avrebbe perso lavoro, soldi e sua madre. Per questo era piantata in terra. E Francesco questo sembrava non capirlo.
“Eli, ora io vado a letto.” Le diede un bacio in fronte. “Buonanotte.” La salutò, prima di rinchiudersi in camera loro.
Lei chiuse nuovamente gli occhi e si portò le mani sul viso. Dopo essere rientrata a casa, dopo aver visto Sofia e Francesco insieme e dopo essere stata con lui per una mezz’ora, tutto il peso di quella giornata sembrava essersi volatilizzato. O almeno, a livello mentale, perché addosso si sentiva una stanchezza che nemmeno volendo avrebbe potuto nascondere a se stessa. Decise di seguire l’iniziativa di Francesco e trascinarsi in camera pure lei. Un po’ di riposo era esattamente quello che le ci voleva.
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Bene, eccomi qua con il terzo capitolo. Qui entrano in scena altri personaggi "fondamentali" della storia, tra cui i Bernardi, che avranno un ruolo molto importante, ma che ovviamente non vi anticipo ;) Il capitolo, diciamo, che è un po' di passaggio: serve soprattutto per far notare certi atteggiamenti dei personaggi, il contesto in cui vivono, lavorano...
Be', aspetto dei vostri commenti per sapere cosa ne pensiate!

Ps: non è adorabile la piccola Sofia? *-*
 
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Ibba
CAT_IMG Posted on 12/10/2012, 15:30




IV Capitolo

“Senti,” la sua voce tradiva un certo imbarazzo e Elisa fu quasi contenta di sentirlo. “Perché devo essere io a vederti in queste posizioni da contorsionista, se poi non posso approfittarne?”
“Ma piantala, France!” schioccò la lingua, mentre alzava una gamba per continuare a depilarsi. “Hai avuto anche tu la tua occasione, peccato che poi tu non l’abbia saputa cogliere.” Il ronzio del silk epil riempiva la stanza e le loro chiacchiere stavano raggiungendo livelli decisamente poco consoni alla loro situazione in ambito sentimentale, ma almeno Sofia non era lì, l’avevano portata a passare la nottata da sua madre, e questo permetteva almeno meno disagio.
“Vuoi ritornare ancora su quella storia?” Francesco non era mai stato un buon attore, e la sua esasperazione parve la cosa più falsa mai vista quella serata, sebbene un fondo di verità la celasse ugualmente. “Ti ho già spiegato ogni cosa, cavolo! Sei tu che -”
“No,” lo fermò, avvicinando il viso alla gamba per vedere che non avesse lasciato alcun superstite. “Non ho intenzione di litigare nuovamente sul passato.” Francesco, appoggiato alla finestra per fumare una sigaretta, contrariamente alla volontà di Elisa, che non si risparmiava qualche occhiata truce nella sua direzione, la osservò sfacciato, aspettando che andasse avanti. “Tra poco uscirò con Marco e non ho voglia di farmi trovare scocciata. Non voglio farlo innervosire, anche perché poi è peggio per tutti e due.”
“Quindi hai intenzione di farci sesso, stasera?” soffiò via il fumo.
“Già.” Lo guardò beffarda, avvicinandosi all’interno coscia con la macchinetta. Lo sguardo di Francesco era chiaramente sofferente alla vista della tortura a cui si stava sottoponendo Elisa. “Ma tanto tu sei con Daniela, quindi non mi sembra tu faccia molto di differente.” Buttò lì con indifferenza, sebbene la questione le bruciasse molto in realtà.
“Ovvio.” Ghignò sfrontato. “Mentre tu vedi di contenerti, ho idea che Marco non sia scatenato quanto lo sei tu.”
“Cosa ne sai di come sia fatto lui?” lo fulminò, per poi fare una smorfia per l’interno coscia più sensibile.
“Voi donne siete le creature più masochiste che possano esistere.”
“E lo siamo per voi, guarda l’ironia.”
“Marco apprezzerà.” Spense la sigaretta ormai esaurita in un bicchiere d’acqua. “E forse, sentendo le tue gambe lisce potrebbe anche sciogliersi.” La stava punzecchiando in piena regola, e come sempre lei ci cascava.
“Ma che ne sai tu!”
“Oh, Elisa!” sogghignò. “Non ti pare che quell’uomo abbia un palo in culo?”
“La tua finezza mi sorprende sempre, France.” Sospirò lei, spegnendo la macchinetta, per poi scendere dal letto su cui era seduta ed andare a staccare il filo dalla presa. “Proprio come la tua maturità.”
“Se non sbaglio, però, fu proprio la mia maturità a farti innamorare di me.” La stava guardando con un sorrisetto furbo, il più malizioso che avrebbe potuto mostrare in una situazione del genere, e Elisa dovette trattenersi dal tirargli il silk epil che ancora aveva in mano proprio in mezzo agli occhi.
“In cinque anni sono cambiata.” Rispose con dignità.
“Ho capito, stasera non hai voglia di parlare…” si lamentò, buttandosi sul letto.
“Parlare?” inarcò un sopracciglio lei. “Ma se mi stai attaccando su ogni fronte!” sbottò. “Vuoi per caso litigare anche per cosa mi devo mettere stasera?”
“Sì, io ti consiglierei qualcosa che ti copra totalmente, in modo da fargli perdere la voglia di spogliarti.”
Elisa imitò una risata per niente convinta, andando verso l’armadio di fronte a Francesco e mettendosi a scegliere, invece, qualcosa di decente. “Molto divertente, France! Vuoi dire che spogliarmi è una tua priorità?” tentò di sfidarlo, guardandolo audace, ma Francesco non era il tipo da imbarazzarsi a certe occhiate. Anzi, un tipo come lui ne approfittava per rigirare la frittata a suo vantaggio, proprio come in quel preciso momento che si era alzato e le aveva posato le mani sui fianchi, coperti solo da un fine accappatoio, sotto al quale indossava solo la biancheria.
“Tu lo vorresti?” le soffiò all’orecchio.
“Francesco!” lo allontanò bruscamente. “Cazzo, hai ventott’anni! Non sei più un ragazzino arrapato! Piantala!”
Lui indietreggiò e sorrise tirato, leggermente impaurito, forse, dalla sua espressione estremamente seria, ma come poteva non esserlo? Quei giochetti andavano bene qualche anno fa, ma ora erano del tutto inopportuni per almeno tre buoni motivi: erano cresciuti, avevano una figlia e – il più importante di tutti – lei stava con Marco e lui con Daniela. Non stette ad elencarli esplicitamente, perché dalla sua occhiata inteneritrice glieli aveva praticamente urlati senza emettere alcun suono e dall’espressione esasperata di Francesco, capì che lui doveva aver recepito il messaggio.
“D’accordo, niente scherzi.” Disse, passandosi una mano tra i capelli neri.
“Era l’ora che lo capissi, diamine!”
“Ok, allora io vado via.” E le diede le spalle, uscendo dalla camera. Una volta sull’uscio si voltò per guardarla e continuò: “Sono pronto da venti minuti e pensavo di darti un passaggio in macchina, ma te la lascio, vado in moto, tanto ho capito che non ce la faremo mai ad uscire allo stesso orario. Mi faresti solo fare tardi.”
“Già,” lo salutò con una mano, tornando ad immergersi con la testa nel suo armadio. “Divertiti con la bionda.”
“E tu attenta a non rompergli il palo che si tiene dentro.”
“France,” sospirò rassegnata, tornando a guardarlo. “Sembri un adolescente…”
“Li porto bene i miei anni, eh?” le fece un occhiolino ammiccante ed uscì di camera. Ma in pochi secondi tornò dentro e si avvicinò a lei, che sorrise, sapendo bene cosa l’aspettava. Francesco posò le sue labbra sul suo collo, scostando con una mani i capelli rossicci che lo coprivano. “Scusa,” le sorrise. “Avevo dimenticato di salutarti.” Ed uscì definitivamente, lasciando Elisa sola nella stanza, mentre con una mano si copriva il suo bacio sul collo.

***



Marco aveva sempre avuto un tempismo impeccabile, e alle otto e mezzo spaccate aveva suonato al campanello, facendo saltare il cuore in gola a Elisa, che stava ancora cercando di scegliere la biancheria da abbinare all’abito nero che avrebbe indossato. Provocante o innocente? Ancora nel dubbio, gli aveva aperto ed invitato a sedersi sul divano mentre lei, ancora in accappatoio, tornava in camera per finire di vestirsi, optando per un intimo che trasudasse innocenza, come quello bianco, munito però di un efficace push up. Niente pizzi e niente trasparenze, Marco non era il tipo, effettivamente.
Cenarono in un ristorante in periferia che ultimamente stava ricevendo discrete critiche positive sulla gestione e sul cibo, ed Elisa dovette ammettere che era tutto vero: mangiò tanto e bene, senza ovviamente avere possibilità di pagare la sua parte. Se fosse uscita con Francesco poteva addirittura succedere che lui si dimenticasse il portafoglio a casa, ma con Marco una scena del genere non si sarebbe mai verificata. Lui era incredibilmente perfetto.
Quando finalmente lui l’accompagnò fuori dal ristorante e la condusse in macchina, Elisa avrebbe pensato che la prossima meta fosse casa sua, ma pochi minuti dopo, Marco deviò dall’usuale viale che conduceva al suo appartamento, continuando a girare intorno alla rinomata periferia della città.
“Dove stiamo andando?”
“È una sorpresa, tesoro.” Le sorrise.
Ed era veramente una sorpresa: Marco l’aveva portata in un localino davvero grazioso all’esterno, decorato con eleganza e che Marco indubbiamente non si era lasciato sfuggire.
“Ha aperto da poco.” Spiegò. “Conosco uno dei proprietari perché è stato mio cliente.”
Elisa si trovò a meravigliarsi ancora una volta per la quantità di persone che Marco sembrava conoscere per merito del suo lavoro. Nemmeno lei, per quanto potesse essere brava a trattare con le persone, aveva mai riscosso così tanto successo.
“Vieni, entriamo, che fa fresco fuori.” Le porse un braccio e lei lo accettò volentieri, entrando all’interno di quel locale come un’aristocratica coppia sposata. Per un momento Elisa pensò che un tubino come il suo non fosse stato proprio l’ideale per un luogo come quello – già Marco ne era rimasto piacevolmente sorpreso, una volta uscita di camera, ma Chiara l’aveva quasi obbligata a comprarlo qualche tempo fa, e lei aveva visto quell’uscita come l’occasione giusta per indossarlo – ma una volta varcata la soglia, si era rilassata nel trovare le luci un po’ offuscate e la penombra che la metteva a suo agio per non dare troppo nell’occhio. Per quanto fosse stata sua l’idea di indossarlo, non poteva negare che fosse molto vistoso e la mettesse leggermente in imbarazzo.
Marco la distolse dai suoi pensieri mettendole una mano sulla schiena e incitandola con un sorriso a seguirlo verso un tavolo. Posarono i cappotti su un divanetto e lei si accoccolò tra le sue braccia, aspettando da bere e ascoltando le parole dolci che lui le sussurrava all’orecchio mentre la carezzava sulla spalla scoperta.
“Stasera sei davvero bellissima, Eli.”
Lei sorrise e si sporse per baciarlo. “Grazie.”
“Non te l’avevo mai visto questo vestito. È nuovo?”
“Sì, lo comprai qualche settimana fa in centro con Chiara.”
“Dovresti farle scegliere i vestiti molto più spesso.” Rise.
“Non ti piace come mi vesto?” lo provocò maliziosa.
“No, no! Ci mancherebbe!” rispose prontamente, sorridendo cordiale. “Ma la tua amica sa esattamente come accentuare la tua bellezza.” Le sfiorò con una mano il collo e le portò il viso vicino al suo. Lei lo seguì bramosa di quel bacio che stava per unirli, ma una voce imbarazzata li avvisò che i loro drink erano arrivati e un altrettanto imbarazzato Marco tossicchiò un “grazie”, per poi allontanarsi da lei e slacciarsi il primo bottone della camicia che indossava. Elisa lo fissò nella poca luce di quell’angolino in cui si erano appartati e sorrise. Marco era proprio un bell’uomo. Aveva tre anni più di lei, era alto, aveva spalle larghe e un fisico davvero discreto. Teneva al suo aspetto, proprio come a voler piacere sempre a Elisa, che decisamente apprezzava. E poi era una persona gentile. Forse la più gentile che avesse mai conosciuto. Era rispettoso, generoso… Molto probabilmente Marco non aveva difetti.
“Che c’è?” la guardò, offrendole il bicchiere fresco.
“Niente, ti guardavo.” Gli sorrise, cercando di apparire sensuale. Voleva ancora il bacio di prima.
I suoi occhi scuri brillarono nell’ombra e le si avvicinarono, mentre un sorriso bianchissimo appariva sul suo viso dai lineamenti virili e spigolosi.
“Ti va di ballare?” le chiese poi, passandole una mano sulle spalle e avvicinandola a sé.
Elisa si rassegnò: il bacio non sarebbe arrivato.
“Sono un’incapace.” Si lamentò lei, che più per la paura del ballo, aveva paura che i suoi piedi non reggessero a lungo. Aveva sbagliato a tirare fuori nuovamente quei sandali: le stavano massacrando il mignolo del piede. Se le aveva messe via, c’era un motivo.
“Ti insegno io.” E le offrì la mano, alzandosi dal divanetto e attendendo che lei accettasse. Certamente lei non avrebbe mai avuto il coraggio di sottrarsi ai suoi modi da gentiluomo. Con Marco le sembrava quasi di vivere in una fiaba, in cui il dolce principe andava a salvare la principessa da una spiacevole situazione, conquistandola con la sua nobiltà d’animo e le sue maniere gentili. Strinse la mano nella sua e si alzò, seguendolo al centro della piccola pista da ballo, aggirando qualche altra coppia che già da un po’ dondolava davanti a loro. La musica che in quel momento riempiva l’aria era dolce, lenta e sembrava proprio fare al caso loro, e per coronare quel quadro, lui l’avvicinò a sé e le cinse i fianchi con le mani, mentre lei passava le sue mani intorno al collo. Rivolse lo sguardo a Marco e lo fissò intensamente negli occhi. Lei sapeva cosa voleva, e con quello sguardo audace, anche Marco l’aveva capito, e infatti si era chinato su di lei, posando le labbra sulle sue, regalando quel bacio che Elisa attendeva da qualche minuto. La cosa più strana del rapporto con Marco, ma che allo stesso tempo l’affascinava, era come lui desiderasse sempre voler prendere l’iniziativa, sebbene più volte lei lo incitasse.
“Ma tu guarda!” E la romantica magia si ruppe all’istante. “Marco! Sei riuscito persino a convincerla a ballare? Quanto l’hai fatta bere?”
Elisa si allontanò da Marco forse troppo bruscamente e osservò inorridita Francesco davanti a sé. “Cosa ci fai tu qui?”
Subito Daniela fece capolino dietro di lui, con addosso un vestitino scollato e scosciato, che lasciava generosamente intravedere le sue curve. A guardarla, Elisa provò l’impulso di avvicinarsi a lei e tirarglielo un po’ più su perché non cadesse scoprendo il seno, come invece sembrava fare da un momento all’altro. Ovviamente Francesco non poteva che esserne felice: la stava palesemente mangiando con gli occhi, e quella sua mano sul culo di Daniela non poteva essere fraintesa.
“Cosa ci fai tu qui, forse.” Le sorrise lui.
“Sono con Marco.” Rispose sbuffando, cercando la mano dell’uomo, che gliela concesse per poi passarle un braccio intorno alla vita, come a voler mettere dei paletti ben visibili tra loro.
“E io con Dani.” La strinse a sé, sorridendo come al suo solito.
“Vi va di unirvi a noi?” propose Marco, sbalordendo Elisa per la sua incredibile capacità diplomatica.
“Se è solo per bere qualcosa.” Ghignò, per poi piegare la testa e baciare Daniela sul collo, che lo allontanò divertita.
Marco li guardava interdetto e Elisa poteva benissimo capire il motivo. Con lui le battute erano sempre smorzate, raramente riusciva ad afferrarle per quello che erano, perché lui era una persona seria, poco propensa ai doppi sensi e alle battute di pessimo gusto che solitamente si lanciavano lei e Francesco per il solo gusto di stuzzicarsi. Tuttavia, questa sua particolarità le piaceva, perché lo mostrava per l’uomo maturo che era, le dava sicurezza, quasi come se con lui, anche lei potesse elevarsi ad un livello superiore, senza abbassarsi a rispondere alle provocazioni del ragazzo.
Si concessero solo quel ballo, perché poi Marco la guidò nuovamente verso il loro tavolo, seguiti da Francesco che non faceva altro che stuzzicare Daniela con dei piccoli morsi all’orecchio. Elisa provò un moto di ribrezzo nel vederli in atteggiamenti così intimi, quello non era né il posto né il momento adatto per dare scena, soprattutto quando Marco era stato così gentile da invitarli addirittura a bere qualcosa con loro, venendo ripagato solo con una buona dose di maleducazione.
Elisa si costrinse ad agire e tossì come se avesse un catarro in gola che avrebbe potuto sputare addosso a loro in ogni istante, riacquistando così l’attenzione dei due allupati che aveva di fronte, mente Marco le massaggiava la schiena come se volesse in qualche modo farle forza.
“Scusate,” sorrise Francesco. “Ma Dani ha già bevuto così tanto che non posso non approfittarne.” Scherzò, tornando a baciare la ragazza sul collo. Nonostante tutta la sensualità che sembravano emanare da ogni singolo poro, Elisa notò quel sorriso sghembo, quel ghigno che più volte compariva sul viso di Francesco, accompagnato dal tipico sguardo seducente ed intenso, quando voleva dimostrare qualcosa e tutt’a un tratto le loro effusioni non la toccarono più, quasi fosse più tranquilla, quasi come se quel sorriso sfrontato, reso ancora più arrogante dalla situazione, fosse per lei.
Tutto ebbe un improvviso cambiamento quando però anche Daniela sembrava voler fare la sua parte, iniziando a leccare – Elisa avrebbe tanto voluto che quel termine fosse una metafora – l’orecchio di Francesco, per poi scendere giù fino al collo, mentre lui sorrideva appagato. Elisa li stava guardando infastidita, arricciando il naso e scoprendosi quasi disgustata da quella scena da porno amatoriale che stavano bellamente mostrando loro. E senza pensarci due volte, forse per vendetta, o forse solo per distogliere lo sguardo, si voltò verso Marco, impossessandosi avidamente delle sue labbra.
“E-Elisa, tesoro…” si scansò Marco, chiaramente imbarazzato, il cui rossore era riconoscibile anche al buio del locale. Subito lei si pentì di quella colossale cazzata e distolse lo sguardo colpevole. “Senti,” si schiarì la voce, avvicinandosi a lei. “Se vuoi possiamo andare a casa e -”
“No, scusa, Marco.” Mormorò dispiaciuta.
“Oddio, France!” l’urlo tra il divertito e l’esasperato di Daniela rapì la sua attenzione. Francesco la stava guardando con il suo ghigno beffardo, con il retrogusto di quella soddisfazione che solitamente mandava in bestia Elisa. Ma ora non solo la stava mandando in bestia, era proprio incazzata. Si sentiva irrigidita e li fissava truce, quasi sperando che sparissero dalla sua vista in quel preciso istante.
Daniela intanto si era allontanata e si stava divincolando con le mani dietro la schiena. Elisa sapeva benissimo cosa fosse successo: quell’idiota le aveva sganciato il reggiseno. Malignamente, Elisa si trovò sorpresa che Daniela ne indossasse uno, e continuò a guardarla irritata, ricordandosi come anche a lei Francesco avesse giocato quegli scherzi. Una delle conseguenze più imbarazzanti fu quando prima di un esame lui l’abbracciò per farle forza e con un abile gesto, le aprì il gancio del reggiseno. Mentre si avviava verso il professore si era sentita il tessuto, prima stretto e fasciante, più leggero, scostante… Non ebbe tempo e la capacità di allacciarselo in un momento simile e dovette affrontare quaranta minuti di orale con le braccia sigillate al suo corpo per evitare che gli uomini che aveva di fronte potessero notare quel piccolo particolare.
“Non sei minimamente originale.” Si lasciò sfuggire Elisa, guardandolo con sufficienza.
“Ti manca che a te non lo sganci più?” Ammiccò malizioso. “Con quel vestito potrei anche fare un’eccezione.”
Marco, affianco a lei, trasalì e quasi si strozzò con il drink analcolico che stava bevendo.
“Che diavolo stai dicendo?” sibilò, socchiudendo gli occhi con rabbia.
“Scherzavo!” alzò le mani in segno di resa. “Tranquilla!”
“France…” la voce roca e sensuale di Daniela lo distrasse nuovamente. “Andiamo?” Lui non esitò nemmeno un attimo, alzandosi e prendendo per mano la ragazza. Si avvicinò a Elisa e le soffiò un mezzo bacio in fronte, per poi condurre Daniela verso l’uscita del locale.
Lei rimase interdetta e incapace di rilassarsi completamente, anche una volta rimasta di nuovo sola con Marco. Vedere Francesco insieme a quella bionda era sempre una sfida contro il suo autocontrollo, e Elisa non sapeva per quando avrebbe potuto continuare a resistere. Era al limite estremo.
“Ehi, vuoi andare via anche tu?” La voce delicata e gentile di Marco, che si era abbassato verso di lei e le aveva posato una mano sulla schiena, la fece rabbrividire.
“D’accordo.” Gli sorrise grata. Fece per alzarsi, ma proprio in quel momento, il locale venne inondato dalle note di una nuova musica lenta e sensuale.
“Prima concedimi un altro ballo.” Le offrì l’usuale mano galante che lei accettò entusiasta. La guidò quindi con naturalezza verso il centro della piccola sala da ballo e l’abbracciò, muovendosi secondo precisi e semplici passi che Elisa inizialmente trovava troppo rigidi, ma la mano calda di Marco e il suo sussurrare indicazioni la sciolsero e lei si ritrovò a seguire i movimenti di Marco senza alcuno sforzo, se non quello di stare in piedi con quei sandali.
Con Marco tutto sembrava semplice, tutto sembrava bello e perfetto. Lui si avvicinò per baciarla e lei gli andò incontro, smettendo di ballare per alzarsi in punta dei piedi e accorciare la distanza dalle sue labbra. Tuttavia cercò un bacio forse troppo passionale, perché Marco si scostò, mettendo fine a quel momento romantico che si era creato tra di loro. Elisa indietreggiò dandosi della stupida e cercò di fuggire dal suo sguardo. Quella davvero non era serata: prima Francesco e ora lei che non ne combinava una giusta. Ma il suo attimo di depressione autolesionista venne interrotta dalle grandi mani di Marco che la presero per le spalle, accompagnandola nuovamente al loro tavolo. Presero le loro rispettive giacche dal divanetto su cui le avevano lasciate, uscirono dal locale e salirono in macchina. Lui continuava a sorriderle, ma lei si sentiva a disagio, non capendo cosa volesse dire. Lo conosceva da un anno, ormai, ma certi suoi comportamenti ancora non riusciva a decifrarli e per tutto il viaggio di ritorno si sentì tesa, consolata solo dalla mano destra di lui che invece di tenere il cambio della sua Audi, stringeva la sua mano.
Non la riaccompagnò a casa, come ormai pensava che finisse la serata, ma parcheggiò sotto casa sua, per poi scendere e girare velocemente intorno alla macchina per aprirle lo sportello. Mano nella mano entrarono nel suo splendido e lussuoso appartamento all’ultimo piano di una palazzina medievale perfettamente ristrutturata. Elisa stava decisamente rivalutando la serata e quando, una volta chiusa con un piede la porta, Marco le prese il viso tra le mani per baciarla appassionatamente, quasi come se non riuscisse più a trattenersi, lei ne ebbe la netta certezza. I loro baci li condussero nella sua camera e Elisa si buttò sul letto, trascinandolo addosso a sé. Si rotolò di lato ed invertì le parti, prendendo soddisfatta il comando della situazione.
_________________________
Bene, gente, anche questo capitolo è concluso (e pubblicato in stra ritardo)! E possiamo dire che la serata si è conclusa bene per tutti i personaggi tirati in ballo in questo aggiornamento, no? Uhm, sinceramente non so che altro aggiungere di efficace per potervi salutare decentemente... Solitamente parlo e stra-parlo, ma oggi sono proprio a secco di parole! Vabbé, vorrà dire che tutte le mie chiacchiere saranno per i prossimi capitoli! ;)

Alla prossima, gente!
 
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5 replies since 5/3/2011, 17:33   157 views
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